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Quando ci si cimenta nella creazione di un gioco di ruolo stand alone, inteso come un manuale che, da solo, contenga un regolamento proprietario forgiato ad hoc per quella occasione, un’ambientazione originale e tutti i contenuti necessari a iniziare a giocare, occorre tenere ben presenti due aspetti secondo me essenziali del game design. Il primo è che se si vogliono creare meccaniche proprie, invece di adoperare un sistema di regole già sperimentate da qualche altro titolo, e magari disponibili con una Open GL, le stesse dovrebbero: a) essere semplici e comprensibili; b) essere davvero necessarie al dispiegarsi corretto dell’ambientazione (se non è così, si fa la fine di Degenesis o di The Witcher, per capirci); c) includere elementi di originalità e innovazione che le giustifichino. Il secondo è che l’ambientazione deve essere messa a fuoco, avere un obiettivo narrativo preciso, chiarire ai futuri master il contesto spaziotemporale, fornendo loro gli strumenti necessari per mantenere un livello sufficiente di plausibilità, anche se in un contesto di fantasia, senza costringerli a reinventarsela di sana pianta. L’impressione, rileggendo il manuale di Venetia Obscura dopo un quarto di secolo, è che gli autori, presi dall’entusiasmo di rendere pubblico un prodotto che, forse, aveva preso forma nelle loro idee, e al loro tavolo di gioco privato, ne abbiano affrettato e quindi un po’ abborracciato la compilazione senza approfondire aspetti necessari e concedergli quel respiro più ampio che forse oggi i mezzi tecnici e di marketing attuali avrebbero reso possibile con poco sforzo. E abbiano preteso di pubblicarlo quando ancora era un sistema incompleto, squilibrato. Vi spiego perché la penso così, ovviamente, nella puntata di oggi. Ascoltatela.…
Quando si ha qualche anno di mastering alle spalle e ci si è guadagnati a colpi di dadi il proprio spazio al tavolo, sessione dopo sessione, viene naturale pensare di scrivere qualche bello scenario, che vada un po’ oltre le prime trame magari ancora acerbe sperimentate con il gruppo di amici, o l’aggiustamento largo circa di qualche modulo già pronto. E se si ha un briciolo di capacità scrittoria e quelle doti di affabulazione e inventiva che a un buon GM che si sta guadagnando il distintivo di veterano non possono mancare, il risultato può spesso essere più che degno di uscire dalle mura della stanza profonda e avventurarsi, magari sui tavoli di qualche fiera, convention, evento o addirittura di aspirare alla pubblicazione. Molto più complicato è inventare ex novo un pezzo del gioco che vogliamo intavolare. E no, non parlo di qualche house rule per aggiustare il tiro a colpi di voto a maggioranza su quelle regole che proprio al vostro gruppo non piacciono ma di ben altro. Ossia, ad esempio, inventare da zero una classe di personaggio che non sia un banale copia-incolla di qualcosa di già visto, oppure una specie di mostro di Frankenstein ottenuto smembrando classi già note e rincollando assieme i pezzi che ci piacciono di più. Non saprei dire se sia questo il merito maggiore del modulo di cui vi parlerò nella puntata di oggi. Di sicuro, però, è una delle ragioni che lo rendono un oggetto che qualsiasi GM di OSE non dovrebbe farsi scappare. Ascoltatemi e capirete.…
Nel corso di puntate precedenti di questa stessa rubrica ho avuto modo di chiarire le mie opinioni sul fatto che un atteggiamento flessibile e disponibile ad adattarsi da parte del master, su cui di fatto il più delle volte si poggia la maggior parte dell’onere organizzativo di un gruppo di gioco, costituisca un pilastro fondamentale di stabilità e longevità. Questa necessità, talvolta, vi metterà di fronte situazioni inedite da risolvere e quesiti complessi da dirimere. Altre, scelte difficili che, comunque vada, porteranno con loro una dose inevitabile di sacrificio. Nella puntata di oggi vi parlo di uno di questi casi particolari e di come io e il mio gruppo di gioco abbiamo scelto di affrontarlo. Senza naturalmente alcuna pretesa di avere in pugno la soluzione migliore, di aver preso la decisione migliore e di volervela vendere come unica raccomandabile. Al contrario, riflettendo sul tema della puntata mi sono ritrovato a valutarne di alternative e a pensare a future soluzioni alternative. Ascoltatela, perché una situazione simile potrebbe accadere anche a voi e, se vi è già successo o, semplicemente, avete voglia di dire la vostra, sappiate che ogni commento, sulle pagine social del podcast, sarò come sempre graditissimo.…
Qualcuno, forse a ragione, parla di crisi, d’inversione di tendenza, di bolla prossima a scoppiare. Il moltiplicarsi delle uscite di sistemi di gioco, di ambientazioni falansteriche che si sovrappongono una all’altra, tenta gli acquirenti compulsivi (come il sottoscritto) ma, allo stesso tempo, disorienta gli appassionati, come già successo nel mercato dei board game e dei videogiochi, ormai consapevoli di non aver tempo di digerire e poi intavolare il contenuto di corposi manuali, vertiginosi muri di testo densi di descrizioni minuziose di mondi che non riusciranno mai ad esplorare tutti. E allora? Magari piccolo è meglio ed è per questo che in Italia sta fiorendo un mercato diverso, di prodotti più “leggeri” ma di qualità molto alta, modulari. Scenari stand alone oppure inseriti in un’ambientazione che si svela, come accadeva agli inizi del gdr, prima dell’uscita degli atlanti, un passo alla volta. Proprio come è lecito attendersi da un gruppo di avventurieri di un mondo fantasy che partono dal loro luogo di origine per scoprire il mondo poco a poco, senza l’ansia di un planisfero e di seicento pagine di descrizioni geografiche, politiche e sociali che ti aspettano dietro l’angolo. Mill of the 12 dead di Mauro Longo è l’esempio perfetto di questa nuova tendenza. Venite a scoprirlo insieme a me nella puntata del podcast di questa settimana.…
Dimenticate gli elmi con le corna, le foreste nordiche tanto care ai registi dei video di gruppi black metal, le navi con la polena a forma di drago e le bipenni. L’estro degli autori di giochi di ruolo norvegesi ha trovato, negli anni, maniere ben diverse e, da un certo punto di vista, stravaganti, di coniugarsi. Simili, nell’esprimere la loro vena creativa più a folletti dispettosi pronti a scompaginare gli assiomi dati per scontati dai veterani del gdr e a presentare a un pubblico, anche molto ristretto, non importa, prodotti che erano rivoluzionari già un quarto di secolo fa, oppure a giocare con i vari stili, alla ricerca di una piacevolezza di gioco molto diversa da quella che a uno, d’istinto, verrebbe da immaginare, la pattuglia sparuta ma agguerrita di scrittori norvegesi vanta una produzione di tutto rispetto e un seguito, in patria e non solo, che, a dispetto della loro apparente indifferenza nei confronti del grande pubblico e del mainstream, si manifesta agguerrito e affezionato. Se vi va di saperne di più, la puntata di oggi può diventare l’occasione di un primo assaggio e di uno spunto ad approfondire, poi, per conto vostro. Non perdetela!…
Per quei due o tre di voi che non ne hanno sentito parlare e non hanno studiato filosofia a scuola, Tommaso d’Aquino, santo e dottore della Chiesa per i cattolici, resta tutt’oggi, siate credenti o meno, uno dei massimi teologi mai vissuti. La sua Summa Theologiae, 35 volumi per quasi un milione e mezzo di parole, e tenete conto che nel Tredicesimo Secolo si scrivevano e si riproducevano i libri a mano, un’opera monumentale nella quale il nostro Dottore Angelico, come lo chiamarono i posteri, affronta i temi teologici fondamentali con il metodo delle Quaestiones. Presenta prima la tesi contraria, argomentandola in modo molto convincente e approfondito, per poi confutarla. Ben lontano dalle sue vette di pensiero, mi sono voluto dilettare, nella preparazione di questa puntata, in un esperimento dialettico. Partire da una recensione molto critica dell’avventura stand alone per OSE scritta da Danilo Frontani, pubblicata su un noto sito americano di critica gdr, e provare a confutarne le argomentazioni. Dopo averla ovviamente testata sul campo con il mio solito gruppo di gioco. Se vi va di scoprire cosa ne è uscito fuori, ascoltatela sulla vostra piattaforma preferita! E fatemi sapere la vostra sui canali social del podcast.…
Compagni dalle stanze profonde e dalle ludoteche! Per una volta posate falce e martello e prendete matita e dadi! La lotta di classe, stavolta, andrà combattuta con la nostra abituale panoplia di strumenti da giocatori di ruolo. Red Borg, riuscita espressione della scuola italiana del borglike visto per la prima volta al Play 2024, seguita a raccogliere attorno a sé un gruppo sempre più numeroso e assiduo di appassionati. Giocano a favore del titolo, edito da Mondiversi di Amos Pons, l’ambientazione particolarmente adatta a un approccio OSR immediato e coinvolgente, la grafica accattivante ma, soprattutto, l’ottimo lavoro svolto dall’autore, Marco Marangoni, nel tirare fuori da un approccio meccanico con quattro caratteristiche in tutto e meccaniche ridotte all’osso un titolo completo e longevo, in grado di affrontare con il piglio di un rompighiaccio sovietico a propulsione nucleare non solo one-shot in fiera e online e partite filler tra amici, ma anche campagne più lunghe e complesse. Senza negarsi, cosa importante per un titolo indie, la possibilità di essere utilizzato per iniziare alla passione del gdr gruppi di completi neofiti. Nella puntata di oggi provo a spiegarvi perché, secondo me, non è soltanto “un altro borglike”. Ascoltatela e fatemi sapere che ne pensate, se vi va. Buon principio d’anno 2025 a tutti e a presto!…
L’unico limite, ancora una volta, è il confine della Costa della Spada. Nel gioco, nel film, così come oggi nello splendido album di figurine in edizione cartonata (e ne esiste anche una limited ispirata alla scatola rossa!) l’ambientazione della Quinta Edizione di D&D morde ormai un po’ il freno. Anche i fan più sfegatati della storica porzione occidentali dei Reami Dimenticati, solo un minuscolo ritaglio se paragonata all’estensione globale di terre emerse e mari del Faerun, iniziano a chiedersi cosa ci sia oltre quella linea tracciata al suolo, invisibile quanto invalicabile, a meno che il DM non prenda l’iniziativa, recuperi un po’ di materiale geografico dalle edizioni permanenti, ed espanda la sua campagna in modalità custom per allargarne gli orizzonti. L’album di cui vi parla Clockwork Mike oggi, intendiamoci, è un capolavoro, imperdibile oggetto da collezione, galleria di vecchie e nuove glorie della Costa, oltre che dei suoi luoghi, oggetti e creature. Senza nulla togliere a Xanathar e Drizzt, a Waterdeep e Neverwinter, agli orsigufo e alle pantere distorcenti, in molti sentiamo l’esigenza di una ventata d’aria fresca. Mi perdonerete quindi lo sfogo, spero, ai limiti dell’off topic. Basta così. La puntata di oggi parla dell’album, della sua innegabile magia e di come contenga una sorpresa che farà contenti giocatori vecchi e nuovi. Vale davvero la pena di ascoltarla.…
Quando lui (più spesso che una lei, lascio a chi ne sa più di me le risposte antropologiche) decide, nessun personaggio non giocante può sentirsi al sicuro. Vale per l’unico gallo del pollaio del contadino che ha ospitato il gruppo, oneshottato impietosamente con un firebolt a bruciapelo, cotto e mangiato, quanto per il margravio che ha osato adoperare il tono di voce sbagliato nella trattativa, o per il capo carovana che ha tentato di tirare sul prezzo d’ingaggio. O magari perfino per il passante che si è limitato, forse, solo a rivolgergli uno sguardo di troppo. Lo Sterminatore è letale quanto imprevedibile, capace di lasciarsi andare a una vera e propria sequenza omicida, oppure di restare intere sessioni ben quieto, in attesa della sua occasione come una tarantola sulla sua ragnatela. Prima o poi il GM abbasserà la guardia e lascerà che il prossimo obiettivo dei suoi piani assassini cada sua vittima impunemente. Ho deciso di ragionare un po’ su questa figura, delizia ma soprattutto croce di quasi tutti i gruppi di gioco di ruolo, prima o poi. Se vi va di ascoltare cosa ne è venuto fuori, ascoltate la puntata di questa settimana del podcast, sulla vostra piattaforma preferita. E fatemi sapere a voi com’è andata.…
La puntata più lunga di sempre, oltre tredici minuti e rotti di intervista con Valentino, più alcune mie brevi note personali. Sul fenomeno Kickstarter si sta giocando il grosso della partita della crescita e della diffusione del mercato del gioco di ruolo, nazionale e non. Caratterizzata da luci e ombre, da acquirenti entusiasti, speculatori pronti a rivendere il loro full pledge bundle a una volta e mezzo il prezzo non appena gli arriva, collezionisti e utenti delusi per aver scommesso, succede, sul cavallo sbagliato, sul ronzino che non riesce ad arrivare nemmeno al traguardo con il minimo sindacale del set di base. Oppure si spegne nel nulla. Il confronto con chi cavalca le onde a volte tempestose di uno dei mercati editoriali più complicati ci aiuta a inquadrare meglio il fenomeno e le sue prospettive. Per questo non sono pentito di avergli dedicato una manciata di minuti in più del solito. Mi perdonerete ascoltando la puntata, ne sono sicurissimo. Sapete dove farlo e, come sempre, ogni vostro commento sulle pagine social del podcast sarà gradito.…
Si parte! Nelle intenzioni di autore ed editore, il volume che oggi iniziamo a leggere assieme, potrebbe essere il primo di una collana destinata a regalare al pubblico non anglofono occasioni interessanti di approfondimento sul gioco di ruolo e argomenti limitrofi, in maniera scorrevole e leggibile, senza costringerli a complesse letture in inglese, che possono risultare a volte un po’ ponderose, e polverose, anche a chi non ha difficoltà con la lingua di Albione. Molto si è detto e scritto, sull’argomento, e molto ci sarebbe ancora da dire e scrivere, a mio giudizio. Ben venga allora questo piccolo miracolo editoriale che solo un connubio perfetto tra due amici di lunga data, Amos e Moreno, accomunati dalla passione condivisa per l’archeologia giocoruolistica, uno mercante di cose belle e rare, l’altro collezionista appassionato, poteva permette di dare alla luce. In un panorama editoriale specialistico semideserto, punteggiato qua e là da manuali operativi su come fare bene il GM o il giocatore e di cataloghi fotocopia di titoli usciti, in perenne rincorsa all’ultimo aggiornamento, il saggio protagonista di questa puntata rappresenta davvero un’ottima opportunità di saperne di più sul nostro passatempo preferito. Sarebbe davvero un peccato non volerlo finire di leggere, dopo il mio incipit, seduti comodi sulla vostra poltrona preferita.…
Niente da fare. Tra me e Amber non fu amore a prima vista in quel lontano 1992, e nemmeno quando lo incontrai di nuovo, per un caso fortuito che racconto nella puntata, qualche anno dopo. L’ho ripreso in mano per questa recensione e… niente da fare. Sarà di sicuro perché non ho letto a suo tempo la voluminosa decalogia di Zelazny, che vorrei però almeno assaggiare ora, anche se di sicuro non tutta intera, sarà perché ancora oggi, dopo trentasette anni di gdr, la mia allergia ai giochi senza alea, meglio ancora se espressa da poligoni colorati, non si è attenuata, ma seguita a non convincermi. E dire che, data la natura peculiare delle sue meccaniche, non sarebbe nemmeno invecchiato male (a parte l’impaginazione, oggi improponibile). Semplicemente è là, uguale a sé stesso, ai limiti estremi di un mercato già di nicchia di per sé, al di là degli entusiasmi da fiera. Anche oggi, proprio come allora. Nella puntata vi dico la mia, chiara e tonda. Se vi garberà, oppure no, fatemelo sapere nei commenti.…
Il mio viaggio assieme a voi alla scoperta dell’arte nel gioco di ruolo si fa via via sempre più ricco di scoperte, esperienze ed emozioni. Chi ancora pensasse agli illustratori e illustratrici dei manuali di gdr come a un gruppetto di nerd con una tavoletta grafica e un po’ di AI a supporto farà bene a ricredersi. Subito. Silvia ad esempio, protagonista della puntata di oggi, è prima di tutto una maestra d’incisione laureata all’Accademia Albertina di Torino, un’istituzione con tre secoli di storia alle spalle. Come i suoi colleghi, di cui ho già parlato nelle puntate precedenti della rubrica, è un’artista di assoluto spessore e, assieme a loro, rappresenta a testa alta una nuova generazione di disegnatori, pittori, acquarellisti, fumettisti e molto ancora degni eredi della straordinaria tradizione artistica italiana, fondendo tecniche antiche e innovazione. C’è ancora tanta fame di bellezza, di arte, e quella che scopriamo nei manuali di gioco si trasforma, non appena ci si siede al tavolo, in magnifiche emozioni. Per questo, raccomandandovi di ascoltare la puntata di oggi, concludo come ho iniziato. Grazie, Silvia!…
Che cos’è Lucca Comics and Games se non lo spartiacque ideale tra un anno ludico e l’altro, il breve periodo di tempo fuori dal tempo in cui tutti i progetti vengono alla luce, i nodi al pettine e le emozioni raggiungono il loro apice? La fiera è un confine temporale che precede un anno “ludico” ideale che terminerà al suo nuovo manifestarsi, ma anche spaziale, linea di confine invalicabile tra chi viene e chi vorrebbe venire ma non ce la fa, tra chi s’inventa ogni anno nuovi sistemi per aggirare fatica, costi della trasferta, disagi negli spostamenti di lunga o breve distanza e tutto il resto, pur di esserci, e chi, almeno per quest’anno, ha dovuto o voluto rinunciare, per i motivi più disparati, inclusi quelli ideologici. Piaccia o no, non la si può ignorare, non si può far finta che non esista e bisogna prendere atto di come la storia del gioco italiano e di molte altre passioni venga scritta a caratteri cubitali, anno dopo anno, proprio tra quelle mura. Questa puntata mette assieme, con una piccola introduzione e un commiato finale, le sei brevi riflessioni maturate in diretta, nei giorni di fiera. Ascoltatele, e fatemi pure sapere la vostra.…
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